LE "RADIOSE GIORNATE" DELLA PRIMAVERA DEL '45                        


ASSASSINII DI CESENATI AD OPERA DEI PARTIGIANI 1945/46
Piero Pasini
 
 
    Giampaolo Pansa nella prefazione del suo libro «Il gladio e l'alloro» scrive: «Non ho fatto il partigiano. E neppure il fascista repubblicano di Salò. Non sono riuscito a fare né l'uno né l'altro perché all'8 settembre 1943 dovevo ancora compiere 8 anni... Ma se avessi avuto l'età giusta, avrei fatto o il partigiano o il fascista repubblicano... Proprio così, avrei potuto dirigermi dall'una o dall'altra parte. E forse sarebbe bastato un niente a decidere la mia sorte: l'esempio di un amico, l'incontro con un professore, un libro letto al momento giusto».
    A molti successe quello che semplicemente il Pansa può ipotizzare della sua vita. Qualunque fosse la scelta, convinta o no, tutti meritavano rispetto; agli sconfitti, se non altro, bisognava riconoscere il coraggio di una scelta che in tutti i casi non sarebbe stata vincente.
    Questo non avvenne, il delitto, la delazione, la violenza, lo spregio dell'essere umano trionfarono per lungo tempo, nel cesenate come in altri luoghi, al termine delle ostilità. La mano assassina colpiva indiscriminatamente giovani, vecchi, ricchi, poveri, tutti accomunati dal loro passato di fascisti, oppure testimoni inconsapevoli di delitti abnormi.
    Anno 1945, termina la seconda guerra mondiale. Nelle strade italiane si festeggiavano i 25 eserciti alleati, nemici prima, amici adesso. Dai filmati d'epoca si vedono sfilare colonne interminabili di partigiani armati; sono tanti che marciano impettiti, talmente tanti che ci si chiede come mai, per battere il fascismo, sia stato necessario il sostegno degli Alleati. In realtà le truppe partigiane furono sempre numericamente esigue, capaci solo di dare punture di spillo all'esercito tedesco e a quello della RSI. Il contributo dato agli Alleati fu talmente scarso, che, ad un certo punto, il generale Alexander decise di non fornire più armi ai resistenti. Ad onor del vero fra essi non mancavano gli uomini ideologicamente coerenti, da sempre antifascisti, anche se poveri di numero: a loro va il rispetto che sempre si deve a chi non deroga, nella buona e nella cattiva sorte, dai propri principi. Il resto che apparve sulle strade non era altro che «sudicia truppa senza onore pronta a servire ovunque ci sia da saccheggiare o da uccidere senza correre rischi».
    Cessate le ostilità si scatenò la «sudicia truppa». Comincia la mattanza. Il 6 maggio 1945 Nuti Enrico, soldato della RSI, tornando dal nord, fornito di regolare lasciapassare dal CLN, si fermò a Capocolle di Bertinoro per rassettarsi prima di arrivare a casa. Si sparge la notizia: un gruppo di venti partigiani lo cattura. Portato a Fratta di Bertinoro fu passato per le armi e sepolto sommariamente in un castagneto. La moglie cercò da sola a lungo il cadavare, nessuno l'aiutò. Trovatolo, lo adagiò su un carretto e, accompagnata dai figli, lo portò al cimitero per una cristiana sepoltura. Il Nuti aveva 53 anni ed era operaio dell'Arrigoni, industria alimentare del cesenate.
    Il 9 maggio 1945 nelle carceri di Cesena situate nella Rocca malatestiana, in un'unica cella ci sono circa 20 persone, nessuno recluso per reati comuni. Nella notte tutti vengono soppressi a colpi di mitra. Si conoscono solo i nomi di nove vittime: Azioli Rodolfo, Baiardi Primo, Foschi Urbano, Gasperoni Renato, Pieri Ferdinando, Ceccaroni Sergio, Semprini Francesco, Righini Sergio, Zamagni Guglielmo. Solo di alcupi è possibile tracciare una breve biografia.
    Righini Sergio, anni 25, aveva aderito alla RSI. Dopo il passaggio del fronte viveva tranquillamente nella propria abitazione a Torre del Moro di Cesena assieme alla moglie e alla figlioletta di 13 mesi. A chi gli consigliava di nascondersi, ricordava di non avere nulla da temere da parte di nessuno. Elementi partigiani lo prelevarono la sera del 9 maggio, poche ore dopo fu soppresso.
    Gasperoni Renato, anni 23. Soldato della RSI, aveva prestato servizio a Vercelli. Rientrato a Cesena il 7 maggio 1945 venne arrestato dai partigiani il giorno 8 e dopo ventiquattro ore assassinato. Aveva un bimbo di tre mesi. Il Gasperoni rientrò assieme a Romagnoli Sergio, pure lui prelevato dai partigiani, assassinato e sepolto in località sconosciuta.
Zamagni Guglielmo, sergente autiere della R.S.I. Combattendo in Africa, aveva contratto la malaria. In servizio a Forlì, trascorreva in malattia molti giorni a casa. Dopo il passaggio del fronte ogni mattina veniva prelevato e portato a scavare ghiaia nel fiume Marecchia. Il 5 Maggio 1945 fu arrestato dai carabinieri. I corpi dei soppressi alla Rocca di Cesena vennero scaricati come quarti di buoi nel cimitero urbano, ove potè avvenire un parziale riconoscimento. Per quanto riguarda i senza nome si può pensare che i loro corpi fossero talmente straziati da impedire un riconoscimento certo, oppure che non fossero di Cesena. Nella stessa giornata vennero scaricati da un camion i corpi di quattro sconosciuti assassinati a Pievesestina di Cesena. Per rendere più completa la giornata, si dovette registrare un caso di linciaggio pubblico.
Gridelli Aurada aveva da poco passato i venti anni e proveniva da una famiglia poverissima di Portafiume. Accusata di essere «spia dei fascisti», prima del passaggio del fronte aveva seguito il suo uomo al nord. Rientrata, incinta, al termine delle ostilità fu subito riconosciuta e linciata. Per questo fatto esiste la testimonianza di Montesi Maria: «Mi trovavo a passeggiare nel parco della Rocca assieme al mio fratellino ... non ho mai dimenticato la scena. Una giovane donna giaceva supina sull'erba ... Era crivellata da minuscole ferite, come se le avessero sparato anche con pallini da caccia ... attorno a lei c'era una decina di giovani armati e non, che discutevano animatamente ... uno voltandosi verso l'uccisa le sputò in faccia ... anche gli altri presero a sputare ripetutamente su quei miseri resti ... un militare alleato, forse inglese, si tolse di tasca il fazzoletto e lo pose sul volto dell'uccisa». Il 8 luglio 1945 fu la volta di Mazzotti Enrico, fattore di anni 47. Questo caso lo si può ritenere di criminalità comune. Il Mazzotti non aveva mai simpatizzato per il fascismo, tuttavia in casa aveva una grossa somma, frutto di una vendita di bestiame. Due giovani partigiani bussarono alla sua porta chiedendogli centomila lire. Il fattore chiuse subito l'uscio, ma venne freddato da una serie di colpi di pistola che passarono il legno. In casa c'era la moglie che allattava il bimbo. Gli assassini subirono vari processi che li mandarono definitivamente liberi.
    Sempre in questo periodo, ma in data sconosciuta, fu ucciso Sintoni Ofelio, che venne rinvenuto a S. Vittore di Cesena sepolto fino alle spalle; Babbi Zelindo, soldato della RSI catturato dai partigiani, derubato e ucciso da un colpo alla testa a S. Carlo di Cesena. Scomparve pure Fabbri Sergio, di cui non si conosce il luogo della sepoltura, che si più ipotizzare in un castagneto tra Monte Bora e Ardiano. Figlio di una guardia, si era vantato di aver sparato contro i partigiani, tuttavia nessuno l'aveva mai visto armato e non venne mai segnalata alcuna sua partecipazione ad azioni contro i resistenti.
    Magnani Amedeo, padre di quattro figli, abitante a Roversano di Cesena. Dipendente dello zuccherificio, essendo uno dei pochi della zona che sapesse leggere e scrivere, fu nominato fiduciario del fascio. Prima del passaggio del fronte si rifugiò al nord. Di lui non si hanno più tracce. Notizie giunte alla famiglia lo dicono ucciso a Lugo di Romagna, mentre rientrava e sepolto in Giudecca presso il fiume Santerno. La famiglia dovette smettere le ricerche della salma per ripetute minacce.
Foschi Primo di 47 anni. Scomparso senza lasciare traccia. Soldato repubblicano, si ritiene soppresso assieme ad altri sei cesenati di Diegaro, Borgo Paglia, Ronta, San Vittore, mentre rientravano dopo il 25 Aprile. Molto probabilmente catturato a Lugo di Romagna e sepolto alla Giovecca sul Santerno.
    Campana Primo detto "Sabin" di anni 36, falegname. Rincasando probabilmente dal Lago di Garda, scomparve; si ritiene pure lui a Lugo di Romagna e sepolto alla sepolto alla Giovecca.
Il 24 ottobre 1990 in questa località venne scoperta una fossa comune con sette scheletri; tre crani presentavano tracce di proiettili, mentre gli altri quattro tracce di sfondamento. Due scheletri recuperati parzialmente, secondo il medico legale erano di adolescenti: Fiamme Bianche?
    Verso la fine del 1945 fu la volta di Foiera Amedeo di anni 44 padre di quattro figli. Era colono in località Torre del Moro. Fascista da sempre con un fratello morto sotto i bombardamenti. Non fuggì, in quanto non aveva mai ricoperto cariche politiche. Prelevato da elementi partigiani, si incamminò con essi lungo il Rio di Torre del Moro. Insistendo sulla sua innocenza, fu alla fine lasciato andare e mitragliato alla schiena. Non morì subito, durante la notte riuscì a trascinarsi presso una casa colonica; soccorso dal padre morì in ospedale. Dopo aver sparato i partigiani si dileguarono, comunque in un noto locale da ballo qualcuno si vantava di aver dato una lezione ad uno sporco fascista. Nell'anno 1946 si registrano altri efferati delitti.
Benini Ferdinando di anni 45, abitante a Case Finali di Cesena, un figlio prigioniero in Africa. Fascista, durante il regime si era sempre adoperato per proteggere i giovani accusati di azioni antifasciste.
    Il Marzo 1946 venne prelevato dai partigiani per essere portato nel Commissariato di Cesena... Caricato sul veicolo di un vicino, giunto presso la caserma dei carabinieri, forse presagendo qualcosa disse all'autista di entrarvi. Col mitra un partigiano glielo impedì, poi sparò alcuni colpi che ferirono il Benini. I carabinieri, al rumore degli spari non si mossero. Ricoverato in ospedale, operato, la stessa sera venne soppresso a colpi di pistola mentre riposava in corsia.
    Caporali Giovanni e Papi Olga, contadini. Coltivavano una golena lungo le rive del fiume Savio. Probabilmente notarono alcuni partigiani intenti alla sepoltura di cadaveri. In seguito a minacce si chiusero nel silenzio e non si recarono più al lavoro. Questo non bastò, il 6 giugno 1946 i partigiani sfondarono la porta della loro abitazione, dove vivevano assieme ai figli e ad un fratello del marito. Questi si presentò dichiarando di essere l'unico fascista della casa, ma a loro il fascista non interessava; i due coniugi vennero uccisi a raffiche di mitra davanti ai figli. Gli assassini, una volta riconosciuti, subirono brevi pene e poco dopo amnistiati. Il capo della banda fu aiutato a fuggire in Jugoslavia.
 
 
L'ULTIMA CROCIATA N. 1 Gen-Feb 1999 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
DOMUS